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Il Matese

Il Matese

Al confine nord-est della Campania si trova il massiccio montuoso del Matese, che segna l’inizio dell’Appennino meridionale. Un promontorio calcareo che si estende per circa 60 km da Nord a Sud in lunghezza e 25 km da Est a Ovest in larghezza, posto a cavallo di due regioni, quella campana e l’altra molisana, condiviso da quattro province: Caserta, Isernia, Benevento e Campobasso.

Il promontorio appenninico presenta fenomeni di carsismo sparsi su gran parte dell’area montuosa, con formazioni di doline, tipiche del degrado naturale carbonatico. Legati a tale fenomeno, sono anche voragini, grotte, inghiottitoi, dove è possibile notare il forte impatto del fenomeno erosivo della roccia.

Altri fenomeni naturali del versante orientale sono le conseguenze eruttive del vicino vulcano spento di Roccamonfina, che ha sviluppato sorgenti solfureo-ferruginose sparse lungo i promontori, attraversati dal fiume Volturno ed eruttazioni gassose, di cui il soffione di Ciorlano  è il maggior esempio.

Nella catena montuosa appenninica del Matese svettano, sul versante molisano, il Monte Miletto con 2050 metri sul livello del mare e, sul versante campano, la Gallinola con i suoi 1923 metri: entrambi dominano le sottostanti montagne, le valli e le radure circostanti.

Molte sono le cime montuose che formano forre, canyon e valloni carsici più o meno ampi e notevole è anche la costituente idrografica, composta da laghi carsici, tra cui il Lago Matese. Posto a circa 1011 metri di altitudine, è il lago appenninico più alto d’Italia, con un bacino lacustre di circa dieci metri di profondità e una superficie più o meno di cinquecento ettari.

Il lago è oggetto di captazione da parte d’indotti idroelettrici della Centrale dell’ENEL di Piedimonte Matese, analogamente a quelli artificiali di Gallo Matese e Letino, i cui invasi si riversano nell’ex centrale di Capriati al Volturno, ora divenuta Oasi naturalistica delle “Mortine”, dove appassionati di natura e birdwatching studiano l’avifauna e la flora lacustre.

Molti invece i corsi d’acqua come fiumi, torrenti e rivi che nascono dall’antro del Matese, di cui il Lete è quello più importante, storicamente citato anche da Dante Alighieri e il cui sfruttamento risale in epoca longobarda, quando era ancora attivo l’antico convento di Santa Maria in Cingla, dalle cui terre contese, alla fine del X secolo, nasce il più antico idioma volgare italiano, contemplato nei famosi Placiti di Montecassino e di Capua.

Altro fiume che alimenta il Volturno è il Sava, che attraversa la pregiata e antica cipresseta di Fontegreca, costituita da lussureggianti e inattaccabili cipressi autoctoni, citati nelle fonti del XVII secolo da Giovan Vincenzo Ciarlanti. Nella piana alifana invece c’è il Torano, testimone un tempo di antiche fabbriche tessili e di cartiere in Alife e Piedimonte Matese, mentre sul versante beneventano scorre il Titerno a mostrare le bellezze dei paesaggi e che attraversa la piana cerretana, luogo per eccellenza di antichi mestieri artigiani legati alla lavorazione della ceramica. Ultimo fiume è il Tammaro, poco lontano dal confine tra Campobasso e Benevento e testimone di antiche tradizioni.

I monti del Matese fanno parte del Parco Regionale del Matese.

In Campania, il Parco è stato istituito con la L. R. n.33/93, ma sono seguiti anche altri provvedimenti legislativi (DPGR 5572 2/6/95 - 8141 23/8/95 - 60 12/2/99 - 1405 12/4/2002 - 1407 12/4/2002); il Parco occupa un'area di 33.326,53 ettari, lungo un'asse Nordovest-Sudest, che dalle valli dei Fiumi Lete e Sava corre per circa 50 km fino alla valle del Fiume Tammaro, in provincia di Benevento e comprende i seguenti Comuni:

  • Ailano, Alife, Capriati al Volturno, Castello del Matese, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Prata Sannita, Raviscanina, S. Angelo d’Alife, S. Gregorio Matese, S. Potito Sannitico, Valle Agricola, per la provincia di Caserta;

  • Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Pietraroja, San Lorenzello, per la provincia di Benevento.

Il massiccio montuoso del Matese, dal Triassico superiore (200 milioni di anni fa) e fino al Cretaceo superiore (65 milioni di anni fa), era sommerso dal mare: ne rendono testimonianza i numerosissimi fossili presenti nel sito geo-paleontologico di Pietraroja, sul versante beneventano. Il sito è talmente importante da essere un vero e proprio museo naturalistico a cielo aperto, dove nel 1980 fu trovato il reperto di un piccolo dinosauro, appartenente alla specie tra i “Velociraptor” e i “Tyrannosaurus”. Fu chiamato “Scipionyx Samniticus”, cioè “artiglio di Scipione del Sannio”, con riferimento a Scipione Breislak, che nel 1798 descrisse per primo il giacimento fossile di Pietraroja, i cui reperti furono collezionati e depredati per molto tempo da numerosi appassionati naturalistici. Il cucciolo di dinosauro fu poi battezzato con il nome di “Ciro”, che nell’antico greco significa “Potenza”. Il fossile è oggetto d’interesse grazie al perfetto stato di conservazione, sia dello scheletro sia degli organi interni.

Sul versante opposto a Pietraroja spicca per importanza strategica l’area paleolitica in località Pineta di Isernia, dove nel 1978 fu trovata la testimonianza paleolitica dell’“Homo Aeserniensis”, vissuto circa 736.000 anni fa. La presenza dell’uomo di Isernia, a sua volta, si contrappone a quella nella località casertana di Tora e Piccilli, dove sono state ritrovate le più antiche impronte fossili umane, conosciute come “Ciampate del Diavolo”, della specie umana riconducibile “all’Homo Heidelbergensis”, vissuto 385.000 anni fa, al quale hanno prestato attenzione moltissime testate giornalistiche del mondo scientifico, come il “National Geographic” e il “Guardian”.

L’intero massiccio fu roccaforte del popolo sannitico, con le città di Alife, Telese, Boiano, Isernia, conquistate poi dai romani e più volte distrutte e abitate da altri popoli conquistatori.

Di particolare importanza sono le piane fluviali, ricche di testimonianze storiche e archeologiche.

Il territorio è ricco di faggete, il cui legno fu proposto dall’Ente Parco Regionale quale legno di pregio. Moltissime altre specie arboree sono presenti sul territorio come l’acero, il castagno, il leccio e tutte quelle tipiche della macchia mediterranea.

La biodiversità è una caratteristica fondamentale di questo territorio e ha inciso sulla diversificazione culturale e folclorica delle popolazioni, così come i prodotti derivati dalla stessa terra, compiacenti le caratteristiche peculiari dei luoghi e l’adattamento alle diverse altitudini delle specie coltivate.

Le comunità di altura hanno focalizzato maggiormente l’attenzione verso le attività silvi-pastorali, costrette a sfruttare le sparute risorse del luogo e le restrizioni indotte dai rigidi climi, mentre gli abbondanti raccolti delle comunità di pianura hanno influito diversamente sugli abitanti e modificato anche le abitudini.  Il tipo di coltivazione delle basse quote ha permesso uno sfruttamento del terreno con copiosi raccolti di prodotti orticoli e foraggeri, costituendo ottimi presupposti per l’allevamento bovino e bufalino.

La fascia collinare del Matese, la conformazione altimetrica del territorio e l’ubicazione geografica costituiscono da sempre condizione pedoclimatica particolare, nella quale sono molto favorite le coltivazioni della vite e dell’ulivo, con ottime produzioni quali-quantitative nel versante beneventano, mentre in quello casertano persistono le piccole realtà di nicchia, come la lenticchia di Valle Argicola, la cipolla ramata e il fagiolo cerato di Alife, la patata rossa di Letino.

La pastorizia, ormai quasi del tutto scomparsa e ridotta a isolati e rari allevatori, ha lasciato il posto ad allevamenti semi liberi o a stabulazione fissa.

Tutta l’area montana presenta una variegata flora, tipica della macchia mediterranea, con essenze e specie comuni.

La fascia pedemontana è costituita da lecci, querce, roverelle, cerri, salici, olmi, e aceri campestri, mentre nella media fascia collinare si notano piantagioni di ulivi, viti, noci; più in alto, nella parte del bosco fino ai 600 metri sul livello del mare, si nota la caratteristica macchia mediterranea, costituita da lecci, maggiociondoli, mirti, castagni, noccioli, fino ad arrivare agli 800 metri dove iniziano i boschi di faggi e aceri. Pochi sono i boschi di conifere, presenti invece sui molti crinali rocciosi, a differenza delle latifoglie, il cui bosco ceduo, prediletto dall’uomo, occupa la maggior parte delle valli e pianori.

La fauna esistente è abbondantemente costituita da volpi, tassi, martore, faune, donnole e non sono rari gli avvistamenti di lupi e qualche testimonianza di orso bruno marsicano, provenienti dal vicino Parco Nazionale d’Abruzzo, anche se la presenza della rara aquila reale è ciò che caratterizza l’intero promontorio.

L’elenco delle specie faunistiche e floricole è lungo, ci accontentiamo di indicare presso alcune fonti d’acqua la salamandra pezzata, la salamandrina dagli occhiali, il tritone crestato, tra i lepidotteri la rara Parnassius apollo appenninico e la Vanessa antiopa, il variopinto Carassio e tra i coleotteri, ultima scoperta, la rara Rosalia alpina.

Parlare di Matesilandia non è cosa facile, né tantomeno pensare di racchiuderne le caratteristiche e le particolarità in poche righe. Lo sconfinato mondo che la natura cela, attraverso una biodiversità ancora integra e inesplorata, è vasto e in parte ancora sconosciuto, tanto che ancora oggi è possibile fare nuove scoperte. A questo scopo si dedicano le Associazioni culturali naturalistiche, come la nostra Associazione Micologica del Matese, le quali eseguono monitoraggi, ricerche e studi sulle specie fungine presenti per divulgarli a chi frequenta i nostri boschi. L’auspicio è quello di riuscire a censire il patrimonio micologico di tutto l’areale matesino e far conoscere, a chi frequenta il bosco, un aspetto diverso e poco conosciuto del mondo dei funghi, ricco di differenze e caratteristiche, con le sue forme, i suoi profumi, i colori e le dimensioni, atte a puntellare e ravvivare il tappeto del bosco e a infondere un tono d’allegria in ogni stagione dell’anno.

Per questo sentiamo di chiedervi di entrare nel bosco in silenzio, affinché possiate godere dell’infinito senso di pace e ascoltare la voce selvaggia della natura.

Il meraviglioso senso di tranquillità che trapela, attraverso la vista, l’udito e l’olfatto, offre una rara opportunità, quella di conoscere un mondo diverso, fatto di armonia, di equilibrio, di sensi, dove ogni specie vivente contribuisce a fare la propria parte, con sacrificio e spirito di abnegazione.

Ed è proprio questo lo spirito con cui la passione per la natura e l’ambiente alimenta le attività dell’Associazione Micologica del Matese che si prodiga, da oltre dieci anni, per la conoscenza della Micologia. 

Un carissimo saluto da parte nostra.

 

 

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